Io credo che una Società di Mutuo Soccorso rappresenti l’unione di più persone che sottoscrivono liberamente, senza fini di lucro, un patto di reciproca assistenza tra eguali, allo scopo di soddisfare uno o più bisogni primari comuni che lo Stato o altri non possono, non riescono o non ritengono di dover soddisfare e a cui l’azione del singolo non può dare risposta adeguata.
In altre parole, vedo la Società di Mutuo Soccorso come un mezzo attraverso il quale un gruppo di persone, che si vogliono libere ed eguali, perseguono un fine comune, cioè la soddisfazione, o meglio, la liberazione da uno o più bisogni primari. E’ un po’ come la leva semplice che si studiava in fisica alla medie: la Società di Mutuo Soccorso è la leva che i soci appoggiano sul fulcro della solidarietà per sollevare il peso di un bisogno.
Come succede per le leve, perchè anche una Società di Mutuo Soccorso possa funzionare adeguatamente occorre che si verifichi tutta una serie di condizioni strettamente collegate tra loro: servono un numero minimo di soci e un certo ricambio generazionale tra loro; serve la disponibilità a lavorare in favore degli altri e in nome di quel patto di reciproca assistenza; serve una certa libertà riguardo la scelta degli obiettivi da perseguire; serve un ambiente normativo generale e dedicato degno di un Paese europeo.
Per quanto riguarda il numero dei soci, il ricambio generazionale e la disponibilità alla solidarietà e alla reciproca assistenza, basta guardarsi intorno: oggi, in Italia, il panorama del Mutuo Soccorso è rappresentato da qualche centinaio di piccole Società, da qualche decina di sodalizi di medie dimensioni e da pochissimi soggetti di grandi dimensioni. Quasi ovunque, le forze disponibili si basano su pochi irriducibili per sodalizio, l’età media supera spesso quota Fornero e il ricambio generazionale è pura utopia.
Riguardo la scelta degli obiettivi da perseguire, la situazione, forse, è ancora peggiore. La maggior parte delle Socetà di Mutuo Soccorso non ha saputo o non ha voluto riprendere possesso della propria identità: trasformatesi in una via di mezzo tra circolo ricreativo, pro loco occasionale e bar di paese, sembrano disposte a tutto pur di mantenere la loro attività concentrata sulle serate da balera, sulle cene sociali, sulle sagre del gnocco fritto. Qualcuna, con una certa dose di fantasia, di fatica e di coraggio, tenta di far apparire tutto ciò come attività sociale da centro di aggregazione; altre, sfruttando al meglio le classiche strutture delle nostre SOMS, si dedica alle attività culturali, puntando soprattutto sul teatro. In molti piccoli paesi, dove neanche il prete dice messa tutte le domeniche, non è cosa da poco, anzi, dovrebbe avere il diritto di chiamarsi Mutuo Soccorso.
Le Società che cercano seriamente di dedicarsi direttamente al Mutuo Soccorso si contano sulle dita di poche mani … e puntualmente, trovano qualcuno che cerca di convincerle che non è il caso: vuoi mettere i vantaggi e la comodità della “mutualità mediata” … basta pagare …
Certo, poi ci sono anche quelle poche che sono grosse, ricche e attive; ci sono le assicurazioni e le casse mutua travestite da S.M.S.; ci sono anche ben due diverse federazioni/associazioni nazionali, ovviamente in competizione tra loro: di queste, però, mi sembra abbastanza inutile discorrere qui.
La cosa peggiore che le Società di Mutuo Soccorso si trovano ad affrontare, però, è l’ambiente normativo. Fino al 2012, esisteva una legge che regolava la vita delle S.M.S.: la mai abbastanza rimpianta legge 3818 del 1886. A questa, si aggiungevano poche altre norme sparse, soprattutto dedicate ad aspetti fiscali o amministrativi. Siamo in Italia e, quindi, questa poca roba era sufficiente a incasinare la vita di un qualsiasi commercialista medio. Le Società di Mutuo Soccorso, però, fino ad allora, potevano muoversi ed agire con una certa facilità, comunque senza rischiare di incorrere in ispezioni folli, sanzioni, denunce, minacce di scioglimento e sequestri del patrimonio.
Bastava volerlo fare e metterci un minimo di attenzione.
Ad un certo punto, però, grazie ad un noto ministro di un noto partito oggi al governo, ci si accorse che in Italia c’erano troppe leggi e troppe erano vecchie, obsolete e non più applicate e si decise così di abolire tutte quelle che avevano superato un certo limite d’età. La nostra 3818 era tra quelle e rischiò seriamente di finire al macero.
Per fortuna, qualcuno si accorse che così le SOMS restavano senza normativa di riferimento.
Lasciata così com’era, la vecchia legge aveva si delle lacune ma manteneva almeno una certa dignità consegnatale dal tempo e dalle origini sabaude. Purtroppo, qualcuno decise di procedere ad “una revisione e ad un aggiornamento” … un po’ come voler mettere delle tette nuove ad un’ottuagenaria piatta: per carità, se il chirurgo non vuole risparmiare sul costo delle protesi e non pensa solo alla sua parcella, può anche capitare che il lavoro non sia così deprimente … ma non fu questo il caso.
Rifatta la legge, le S.M.S. si trovarono catapultate su una giostra di interrogazioni parlamentari, chiarimenti ministeriali, decreti attuativi, collegati, circolari d’agenzia, confuse ridicolaggini di federazione … e così, senza che nessuno riuscisse a capirci più di tanto (fatto salvo chi nel frattempo faceva i propri interessi), si arrivò alla Riforma del terzo settore e alle successive e tanto agognate modifiche … che, ovviamente, sono ancora incagliate nella solita giostra di decreti attuativi, circolari, deroghe …
Insomma, più che un quadro normativo decente, un qualsiasi livornese con un minimo di educazione e di conoscenza del proprio vernacolo lo definirebbe un Troiaio!
Detto ciò, pare abbastanza evidente che ci si trovi davanti ad una situazione di questo genere: le Società sono soprattutto piccole, con mezzi economici limitati e con limitate possibilità di aumentare le proprie disponibilità; l’età media dei soci è piuttosto alta ed il ricambio generazionale piuttosto basso o quasi nullo; l’interesse e la volontà di dedicarsi ad attività di solidarietà sociale sono molto discutibili; la scelta del campo d’azione è stata ulteriormente ridotta dalla “rinnovata” l. 3818/1886, che ha rinchiuso in maniera mirata e quasi esclusiva l’attività delle S.M.S. nel mondo della sanità complementare.
A fronte di tutto ciò, si può ancora sostenere che lo strumento Società di Mutuo Soccorso è in grado di funzionare adeguatamente allo scopo di perseguire in maniera solidale un fine comune per liberarsi o soddisfare un bisogno primario?
Io credo di no. E credo che, quando uno strumento non funziona più o quando se ne trova uno che funziona meglio, sia giusto sostituirlo.
Insomma, credo che sia venuto il momento di cominciare a guardare con maggiore attenzione ad alcuni dettagli della tanto discussa Riforma del Terzo Settore che riguardano le Società di Mutuo Soccorso per verificare se non sia il caso di pensare ad un cambiamento. In fondo, l’obiettivo non dovrebbe essere il salvaguardare gli strumenti di lavoro ma proteggere e migliorare i risultati del lavoro stesso…
Hai visto mai che un’Associazione di Mutuo Soccorso, con meno vincoli e legacci (anche se con qualche agevolazione in meno), non riesca a fare meglio? Hai visto mai che la soluzione sia quella di uno scioglimento/cambiamento?
– Daniele Massazza
P.S. Capisco che qualcuno si chiederà come posso pensarla in questo modo e restare a rappresentare SOMS Insieme. Anche se è vero che SOMS Insieme, per statuto, si rivolge e raccoglie Società e Associazioni che si dedicano al Mutuo Soccorso, è una riflessione che sto facendo anch’io, accompagnata da tante altre…