Giuseppe Mazzini, Aurelio Saffi, Giuseppe Garibaldi…
Nella storia delle Società di Mutuo Soccorso, non solo italiane od europee, i loro nomi rappresentano una costante che affolla documenti, verbali, resoconti, aneddoti, episodi veri o inventati di sana pianta. Difficilmente qualcuno potrebbe sorprendersi nel leggere, ad esempio, che Garibaldi e Mazzini furono rispettivamente il primo presidente effettivo ed il primo presidente onorario della Società Operaia Italiana di Mutuo Soccorso in Costantinopoli.
Certo, nomi come quelli di George Armstrong Custer e di Ta-Tanka I-Yotank, alias Toro Seduto, qualche sorpresa in più potrebbero destarla. Eppure, anche il famoso comandante del 7° cavalleggeri e il leggendario capo e sciamano degli Hunkpapa, sebbene indirettamente, hanno trovato un posto nella storia del movimento mutualistico internazionale.
Nel 1874, quando sulle Black Hills fu scoperto l’oro, la regione venne letteralmente invasa dai cercatori. In poco più di un anno, furono circa 15.000 i disperati che violarono i confini della Grande Riserva Sioux. Inizialmente, l’esercito statunitense provò con scarsi successi ad espellere i cercatori. Successivamente, il governo tentò di riaprire le trattative con Nuvola Rossa e Coda Chiazzata, offrendo sei milioni di dollari per l’acquisto dei territori o, in alternativa, un affitto di 400.000 $ l’anno. Le tribù rifiutarono e a Washington si decise di approfittare di una situazione che diventava sempre più caotica per ricorrere alla forza. L’ordine per tutti i nativi della regione fu di recarsi nelle agenzie della Grande Riserva Sioux entro la fine di gennaio 1876, altrimenti sarebbero stati considerati ostili. L’ultimatum era chiaramente assurdo: le difficoltà di viaggiare durante l’inverno per le tribù nomadi erano enormi e, inoltre, furono in molti a non ricevere mai quell’avvertimento.
Dopo una deludente campagna invernale, che non portò ad alcun risultato, l’esercito statunitense avviò una campagna estiva più decisa. Tra la fine di marzo e quella di maggio, tre colonne, guidate dal colonnello Gibbon, dal generale Terry e dal generale Crook mi mossero verso la regione a nord-est delle Bighorn Mountains, a sud del fiume Yellowstone. I comandanti ritenevano di dover fronteggiare solo le bande che non accettavano la riserva e vivevano in maniera nomade tutto l’anno, dai 500 agli 800 guerrieri in tutto. All’inizio dell’estate, però, molti di coloro che avevano passato l’inverno nelle agenzie delle riserve, stavano raggiungendo i territori contesi per cacciare, come credevano fosse loro diritto. Quando le colonne arrivarono nella zona prefissata, il numero dei nativi da considerare ostili era salito ad alcune migliaia.
Il 17 giugno, la colonna di Crook fu attaccata dagli Sioux e dai Cheyenne guidati da Cavallo Pazzo e fu costretta a ritirarsi. Quattro giorni dopo, le forze di Terry, tra cui si trovava anche il 7° Cavalleggeri di Custer, incontrarono sullo Yellowstone la colonna di Gibbon. Le informazioni raccolte indicavano che le tribù si stavano radunando nella valle del Little Bighorn e Terry organizzò le operazioni di conseguenza, mandando Gibbon lungo l’affluente dello Yellowstone e Custer a risalire il corso del Rosebud. Dopo aver intercettato le piste delle bande, avrebbero dovuto aggirarle e posizionarsi in modo da consentire alla cavalleria di Custer di attaccare e alla fanteria di Gibbon di bloccare loro la ritirata.
Gli ordini consegnati a Custer, però, erano formulati in modo da consentirgli una certa autonomia di azione. Dopo le polemiche, le accuse e la sospensione seguite al massacro del villaggio Cheyenne di Caldaia Nera (Washita, 27-11-1868), l’ambizioso tenente colonnello voleva una grande vittoria contro i nativi. Gli squadroni del 7° Cavalleggeri si mossero così in maniera completamente autonoma e staccata dal resto delle truppe statunitensi.
Il 25 giugno 1876, dopo aver più volte suddiviso le proprie forze, Custer attaccò i sei campi tribali riuniti nella valle del Little Bighorn, dove si stima fossero riuniti circa 12.000 nativi, tra Cheyenne settentrionali, Lakota, Dakota e Arapaho, guidati da Tore Seduto e Cavallo Pazzo. Il combattimento non durò più di venticinque-trenta minuti e si concluse con una disfatta totale. Tra i cavalleggeri statunitensi ci furono 258 morti, 3 dispersi e 52 feriti. Degli uomini che componevano i 5 squadroni condotti all’attacco da Custer si salvarono solo in due: uno scout indiano sopravvissuto al combattimento e un trombettiere italiano, tal Giovanni Martini, che Custer inviò al capitano Benteen con una richiesta di aiuti, prima che lo scontro avesse inizio.
Le conseguenze, dirette e indirette, della disfatta di Custer a Little Bighorn, naturalmente, furono numerose. L’esercito statunitense non era mai andato incontro ad una sconfitta di quelle proporzioni. Negli anni delle “Guerre Indiane”, quando un soldato statunitense moriva, era consuetudine che i commilitoni organizzassero una colletta per consentire alla moglie e ai figli di ritornare all’est, sotto la protezione dei familiari più stretti, quando c’erano. Dopo Little Bighorn, però, non c’erano commilitoni con cui organizzare una colletta. Cinque squadroni erano stati annientati, altri sei decimati. Senza sopravvissuti, il vecchio sistema di far girare il cappello per raccogliere un fondo di solidarietà non poteva funzionare.
Come diretta conseguenza di una situazione che mai si era venuta a creare in precedenza, il 13 gennaio 1879 fu creata l’Army Mutual Aid Association (AMAA), il cui atto istitutivo fu preparato da un Comitato di Ufficiali dell’esercito presieduto dal tenente colonnello Roger Jones. Oggi, dopo 136 anni, la vecchia AMAA è cambiata, si è trasformata nella American Armed Forces Mutual Aid Association (AAFMAA) e conta oltre 90.000 soci ma ha mantenuto fermo il suo scopo iniziale di “aiutare le famiglie dei soci deceduti in modo rapido, semplice e sostanziale.”
Daniele